Per gli imprenditori e le società il tentativo di recupero crediti Bergamo può portare dei benefici, in termini di risparmio fiscale e di recupero di iva non riscossa, tali da superare e di parecchio il costo dell'attività giudiziale.
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L'avvocato Massimo Mascali a Bergamo ha maturato esperienza nel recupero crediti aziendale, seguendo aziende sia di piccole che di grandi dimensioni...
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Finalizzata ad evitare procedure all'evidenza inutili, questa fase consiste in un'attenta analisi della situazione reddituale e patrimoniale del debitore, avvalendosi di società di rating, investigazioni,...
La fase giudiziale comprende l'azione di accertamento del credito e la eventuale successiva azione esecutiva per il recupero coattivo del credito.
Una sentenza in controcorrente rispetto all’orientamento giurisprudenziale precedentemente emerso da alcune pronunce della medesima Corte (vedi Cass. 09/05/1985, n. 2895; Cass. 10/09/1986, n. 5531; Cass. 28/04/1990, n. 3593), che avevano ritenuto non necessaria la integrale trascrizione del titolo di credito nell’atto di precetto, essendo sufficiente l’indicazione degli elementi essenziali del titolo stesso, che ne consentissero l’esatta individuazione
Era stato notificato dalla ricorrente un precetto nel quale era contenuto, come titolo di credito, un assegno circolare non trasferibile, il quale tuttavia non era stato trascritto integralmente ma solo per la parte frontale. A ciò era seguita poi l’opposizione agli atti esecutivi da parte dell’intimato. La Corte, muovendo dall’assunto che funzione dell’atto di precetto è, oltre quella di permettere all’intimato di adempiere spontaneamente per evitare il processo esecutivo, anche quella di permettergli di contestare tempestivamente la fondatezza del vantato diritto di agire in executivis o la regolarità formale degli atti (ex artt. 615 e 617 c.p.c.), ritiene che tale funzione possa essere compromessa dalla mancanza, nell’atto, di quegli elementi, sia di carattere oggettivo che soggettivo, che conformano il diritto di credito.
La Cassazione, con una recente ordinanza del 10/4/2024, la n. 12816, si è trovata a giudicare sul diritto dell’agente alle provvigioni nel caso in cui tra preponente e cliente sia intervenuto un accordo, dopo la stipulazione di un contratto, volto a non dare esecuzione a quest’ultimo.
Nel caso specifico due società, la preponente e la cliente, avevano concluso dei contratti di fornitura grazie all’opera dell’agente, a cui sarebbe spettata una provvigione. Le parti non avevano dato però integrale esecuzione agli stessi, arrivando a farsi causa reciprocamente per la risoluzione, ognuno per l’inadempimento dell’altro. Si giungeva poi ad una transazione, con cui le parti si accordavano per risolvere consensualmente i contratti e convenivano che la cliente versasse alla preponente una somma, “in via puramente transattiva e a saldo e stralcio di ogni pretesa
Così la Cassazione III Sezione Civile ha statuito con l’ordinanza del 19 febbraio 2024 n. 4357, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità dell’ordinanza del Tribunale di Perugia che dichiarava illegittimo e ineseguibile l’ordine di liberazione emesso dal giudice dell’esecuzione su istanza del creditore aggiudicatario.
Due genitori avevano donato al figlio un terreno, con l’onere a carico di quello di concedergli come alloggio gratuito, per tutta la durata della loro vita, una porzione dell’immobile che era in corso di costruzione sul medesimo terreno, qualificando quest’onere come un’obbligazione propter rem. In seguito l’immobile veniva poi assoggettato a procedura esecutiva e, in quella sede, veniva assegnato ad uno dei creditori del donatario. Il creditore si trovava costretto a chiedere la liberazione dell’immobile, che era appunto occupato dai genitori, in forza del titolo sopra esposto. Avverso il provvedimento di liberazione dell’immobile ricorrevano il debitore e i genitori di lui, instaurando davanti al Tribunale di Perugia un giudizio ordinario di opposizione agli atti esecutivi. Il medesimo Tribunale, infine, dando ragione ai ricorrenti, dichiarava illegittimo il provvedimento di liberazione in quanto i genitori abitanti l’immobile avevano un valido titolo opponibile ai terzi, tra cui anche il creditore assegnatario, ai sensi dell’art. 1599 comma 3 c.c. ...
L’Agenzia delle Entrate – con la risposta n. 324/2023 - esclude la possibilità di emettere la nota di variazione dell’i.v.a. in un caso di Liquidazione del patrimonio (ex art. 14-ter, L. n. 3/2012)
Il creditore asseriva di aver presentato una domanda di partecipazione ad una procedura di Liquidazione e chiedeva se, nel caso concreto, fosse applicabile l’art. 26, comma 3bis, del D.P.R. n. 633/1972, che prevede la possibilità di portare in detrazione l’imposta non riscossa anche in ipotesi in cui il debitore è assoggettato a una procedura concorsuale. Riteneva il creditore che nella nozione di procedura concorsuale fosse da ricomprendere anche la procedura di composizione della crisi da sovraindebitamento. La risposta negativa dell’Agenzia si fonda sul dato letterale della norma e, in particolare, del comma 10-bis del succitato art. 26, laddove – nello specificare le date da cui il debitore si ritiene assoggettato alla procedura concorsuale - non rinvia alle procedure da sovraindebitamento.
L'art. 1284 c.c., comma 4, che prevede un tasso di interesse attualmente del 8%, potrà essere utilizzato solo nel caso di inadempimento di obbligazioni di fonte contrattuale. Nel caso di responsabilità risarcitoria, in assenza di diversi, accordi, si dovrà tornare al saggio legale, attualmente del 1,25%.
Il Tribunale di Vicenza, con ordinanza del 11.03.2022 (R.G. 96/2022), entra nel merito del criterio di calcolo degli interessi sulle somme di denaro dovute successivamente all'introduzione di una domanda giudiziale. L'occasione viene concessa al giudice di prime cure da un'opposizione a precetto, accolta nella parte che qui interessa. Il creditore, infatti, vantava una determinata somma a titolo di risarcimento del danno (per rovina del fondo riconducibile all'art. 1669 c.c.) e su quella somma, accertata da una precedente sentenza del Tribunale, calcolava gli interessi ex art. 1284 c.c. (Danni nelle obbligazioni pecuniarie), comma 4.
Ad eccezione dei crediti di modesta entità, che possono essere portati in perdita senza ulteriori valutazioni dopo sei mesi dalla loro scadenza, per le altre tipologie di credito è necessario che risultino elementi certi e precisi ovvero che il debitore sia sottoposto ad una procedura concorsuale. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1147/2022, sottolinea come la normativa non faccia alcun riferimento alla necessità di un'azione esecutiva infruttuosa. L'insolvenza del debitore, quindi, potrà essere dedotta da altri elementi, purché certi e precisi. Un tipico esempio è l'irreperibilità del debitore.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 1147 del 17.01.2022, sez. trib., cassa la sentenza della Commissione Tributaria regionale della regione Campania che aveva ritenuto necessario il tentativo esecutivo infruttuoso per la deducibilità della perdita su crediti. Sappiamo che il T.U. n. 917 del 1986, all'art. 101, comma 5, prevede che: "Le perdite di beni di cui al comma 1, commisurate al costo non ammortizzato di essi, e le perdite su crediti, diverse da quelle deducibili ai sensi del comma 3 dell'articolo 106, sono deducibili se risultano da elementi certi e precisi e in ogni caso, per le perdite su crediti, se il debitore e' assoggettato a procedure concorsuali o ha concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dell'articolo 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 o un piano attestato ai sensi dell'articolo 67, terzo comma, lettera d), del Regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 o e' assoggettato a procedure estere equivalenti, previste in Stati o territori con i quali esiste un adeguato scambio di informazioni.
In mancanza dell'indicazione della data di ricezione, compete a chi riceve l'atto la dimostrazione della effettiva data di consegna. In difetto della prova, verrà considerata come data di notificazione quella (ovviamente, precedente) del bollo apposto sul plico dall'ufficio postale.
Bisogna porre particolare attenzione alle date apposte sugli avvisi di ricevimento degli atti giudiziari, soprattutto se da quelle date decorrono termini perentori per la difesa. Il tema trattato dalla Corte di Cassazione (Sentenza n. 2324/2022) è quello di un'opposizione a decreto ingiuntivo che, nel caso specifico, è stata ritenuta tardiva e, quindi, respinta indipendentemente dalle ragioni addotte.
L'art. 18 del Decreto Legge 25 maggio 2021 n. 73, conosciuto come Decreto Sostegni Bis, ha apportato una modifica di non poco conto all'art. 26 DPR 633/1972 per quanto concerne l'emissione della nota di variazione dell'i.v.a.
All'art. 26 DPR 633/72 è stato aggiunto il comma 3-bis che così recita: "La disposizione di cui al comma 2 si applica anche in caso di mancato pagamento del corrispettivo, in tutto o in parte, da parte del cessionario o committente: a) a partire dalla data in cui quest'ultimo e` assoggettato a una procedura concorsuale o dalla data del decreto che omologa un accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all'articolo 182-bis del Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, o dalla data di pubblicazione nel registro delle imprese di un piano attestato ai sensi dell'articolo 67, terzo comma, lettera d), del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267; b) a causa di procedure esecutive individuali rimaste infruttuose".
La Corte di Cassazione torna su una questione piuttosto ricorrente nella prassi e che ha già trovato una soluzione di uniforme applicazione, ma di difficile accettazione da parte dei creditori.
In questo caso, la Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 24157/2020, ribadisce come non possa essere opposto al fallimento un decreto ingiuntivo, anche se: a) dichiarato provvisoriamente esecutivo, b) non opposto nel termine di legge e sebbene c) la dichiarazione di esecutorietà fosse stata chiesta in data antecedente all'apertura della procedura fallimentare. Peraltro, ciò porta con sé la conseguenza che non saranno opponibili al fallimento neppure le relative spese ivi comprese quelle sopportate per l'eventuale iscrizione di ipoteca sulla base del decreto provvisoriamente esecutivo.
Il D.L n. 24 del 19.05.2020, cosiddetto Decreto Rilancio, all'art. 25 ha previsto le condizioni e le modalità di calcolo di una serie di contributi a fondo perduto.
Come è noto, a causa delle conseguenze economiche delle misure prese per contrastare l'epidemia da Covid-19, il Governo Italiano ha inteso ristorare, seppure parzialmente, le perdite subite da diverse attività economiche. Da questa esigenze ha preso le mosse il D.L n. 24 del 19.05.2020, cosiddetto Decreto Rilancio, che all'art. 25 ha previsto le condizioni e le modalità di calcolo di una serie di contributi a fondo perduto. Il problema che si è posto e ha risolto il Tribunale di Treviso con un'ordinanza del 25.11.2020 è stata l'eventuale pignorabilità o meno di quei fondi, laddove accreditati sul conto corrente del debitore. Il debitore esecutato, peraltro una società, si era lamentato del fatto che quelle somme – data la particolare natura – non potessero essere sottoposte al vincolo.
Il Tribunale di Mantova esclude espressamente e senza riserve che il funzionario comunale abbia un generalizzato potere di autentica, che si deve limitare, pertanto, agli atti che la pubblica amministrazione detiene in originale o che ha direttamente formato.
Il Tribunale di Mantova, con la sentenza emessa il 23.10.2020 dal dott. Giorgio Bertola, nell'accogliere un'opposizione a decreto ingiuntivo, affronta il problema dall'ammissibilità o meno del potere di autentica del funzionario comunale. Afferma, infatti, l'art. 634 c.p.c. che: "Sono prove scritte idonee a norma del numero 1 dell'articolo precedente le polizze e promesse unilaterali per scrittura privata [1988, 2702 c.c.] e i telegrammi [2705 c.c.], anche se mancanti dei requisiti prescritti dal codice civile. [II]. Per i crediti relativi a somministrazioni di merci e di danaro nonché per prestazioni di servizi fatte da imprenditori che esercitano un'attività commerciale [21951 c.c.] e da lavoratori autonomi, anche a persone che non esercitano tale attività, sono altresì prove scritte idonee gli estratti autentici delle scritture contabili di cui agli articoli 2214 e seguenti del codice civile, purché bollate e vidimate nelle forme di legge e regolarmente tenute, nonché gli estratti autentici delle scritture contabili prescritte dalle leggi tributarie, quando siano tenute con l'osservanza delle norme stabilite per tali scritture."
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite – rivedendo la posizione assunta dalla stessa Corte nel 2015 – stabilisce che – nella causa di opposizione a decreto ingiuntivo - è il creditore opposto a doversi fare carico dell'onere di attivare la procedura di mediazione obbligatoria, pena l'inefficacia del decreto ingiuntivo.
Proposta opposizione ad un decreto ingiuntivo, il Tribunale di primo grado concedeva la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo e assegnava un termine per l'introduzione della domanda di mediazione. La domanda non veniva presentata. Il Tribunale dichiarava l'improcedibilità dell'opposizione e, conseguentemente, il passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo. Il Tribunale così decideva sul presupposto che l'onere dell'introduzione della procedura deflattiva fosse a carico dell'opponente. La Corte d'Appello dichiarava inammissibile l'impugnazione nel frattempo proposta. Ricorrevano in Cassazione gli ingiunti.
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite risolve il contrasto giurisprudenziale relativo alla qualificazione del tentativo obbligatorio di conciliazione in materia di telecomunicazione, tentativo che deve essere considerato quale condizione di procedibilità della successiva domanda giudiziaria e non quale condizione di proponibilità. Le conseguenze sono non di poco conto sull'esito del giudizio.
L'occasione della decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza n. 8240/2020) viene fornita da un giudizio introdotto, questa volta, dal consumatore e non dalla società di telecomunicazioni. Il cliente di Telecom Italia S.p.a. lamentava la nullità della clausola contrattuale che prevedeva una penale per il recesso anticipato. La clausola, in estrema sintesi, sarebbe stata contraria tanto alle norme dettate dal Codice del Consumo quanto a quelle dettate dal c.d. Decreto Bersani bis (D.L. n. 7 del 31.01.2007).
Il creditore con più debitori solidali è autorizzato a intraprendere più procedure esecutive, anche contemporaneamente e sino al pagamento completo del proprio credito. Non osta a questa facoltà il principio di buona fede e il divieto di abuso degli strumenti processuali.
Una banca procedeva contemporaneamente contro due debitori solidali. Più precisamente, sottoposta a pignoramento la pensione dovuta da un debitore, notificava analogo atto di pignoramento contro l'altro debitore. Il secondo debitore proponeva opposizione all'esecuzione, sostenendone l'illegittimità. Il Tribunale rigettava l'opposizione, con sentenza che veniva confermata anche in grado di appello. Il debitore ricorreva quindi in Cassazione. Riteneva il debitore solidale che la banca avesse agito violando il principio di buona fede...
Il decreto ingiuntivo è il rimedio giudiziario più economico e più veloce per ottenere il recupero del proprio credito.
Il Tribunale di Verona, con un decreto del 29.11.2019, apre, senza riserve, alla possibilità di utilizzo del file ".xml" della fattura elettronica quale prova scritta sufficiente per l'emissione del decreto ingiuntivo. Non sarà più necessaria la produzione della certificazione notarile, con ovvio risparmio di tempi e di costi.
Dispone l'art. 632 c.p.c. che il giudice pronuncia ingiunzione di pagamento quando viene fornita prova scritta del credito. Aggiunge l'art. 634 c.p.c. che "per i crediti relativi a somministrazioni di merci e di danaro nonché per prestazioni di servizi fatte da imprenditori che esercitano una attività commerciale e da lavoratori autonomi anche a persone che non esercitano tale attività, sono altresì prove scritte idonee gli estratti autentici delle scritture contabili di cui agli articoli 2214 e seguenti del codice civile, purché bollate e vidimate nelle forme di legge e regolarmente tenute, nonché gli estratti autentici delle scritture contabili prescritte dalle leggi tributarie, quando siano tenute con l'osservanza delle norme stabilite per tali scritture".
Il decreto ingiuntivo, non munito, prima della dichiarazione di fallimento, di esecutorietà, non è passato in cosa giudicata formale e sostanziale e non è opponibile al fallimento
La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 21583, depositata il 03 settembre 2018, ribadisce un principio tanto pacifico quanto discutibile per gli effetti pratici cui conduce.
Un creditore otteneva un decreto ingiuntivo provvisoriamente
esecutivo per un importo non indifferente (oltre €. 150.000,00).
Sulla base dell'ingiunzione esecutiva, il creditore iscriveva
altresì ipoteca ai danni del debitore, che di lì a poco falliva.
In sede di verifica dello stato passivo, il Tribunale respingeva
l'ammissione in via privilegiata del credito, che collocava al
chirografo, ed escludeva anche le spese e i costi della fase
monitoria e dell'imposta ipotecaria.
Il decreto ingiuntivo per il pagamento della parcella dell'avvocato va opposto con il procedimento sommario
Epilogo processuale amaro per un cliente a cui l'avvocato aveva ingiunto il pagamento di una somma a titolo di parcella notevolmente superiore a quella che il primo sosteneva essere stata a suo tempo convenuta. Purtroppo per il cliente, il giudice non poteva entrare nel merito della controversia, in quanto, nell'opporre il decreto ingiuntivo, il cliente optava per l'atto sbagliato.
Il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 2349/2018, rileva come l'opponente abbia erroneamente introdotto il procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo con un normale atto di citazione a comparire, laddove l'art. 14, comma 1, del D.L. 150/2011 (Delle controversie in materia di liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato), così dispone...
L'assegno senza data vale (solo) come promessa di pagamento
La decisione resa dalla Cassazione, con l'ordinanza n. 24144/18, depositata il 03.10.2018, prende le mosse da un'opposizione a decreto ingiuntivo, a mezzo del quale il creditore chiedeva il pagamento del dovuto sulla base di un assegno bancario, la cui data veniva contestata dal debitore.
La Corte di Cassazione, nel confermare la correttezza delle sentenze di primo e secondo grado, sottolinea come la data, ai fini dell'utilizzo del titolo quale prova scritta ai fini dell'emissione del decreto ingiuntivo, sia circostanza tutto sommato irrilevante.
Il decreto ingiuntivo può essere notificato anche oltre il termine previsto per legge
Una recente sentenza del Tribunale di Reggio Emilia, la n. 75/18 depositata il 18.05.2018, ha avuto modo di ribadire un'interpretazione giurisprudenziale piuttosto datata e relativa alla notifica del decreto ingiuntivo oltre il termine stabilito dalla legge.
L'art. 644 c.p.c. dispone che il decreto d'ingiunzione diventa inefficace qualora la notificazione non sia eseguita nel termine di sessanta giorni dalla pronuncia. Cosa succede, quindi, se il decreto ingiuntivo, per qualsiasi motivo, venga notificato oltre il termine?
Il cliente di un Avvocato solleva eccezione di incompetenza
Un avvocato procedeva con decreto ingiuntivo contro il proprio cliente che non aveva pagato i compensi relativi a prestazioni professionali rese sul foro di Lecce. Il cliente, che nel frattempo si era trasferito a Bologna, opponeva il decreto ingiuntivo e sollevava eccezione di incompetenza. Il Tribunale di Lecce respingeva l'eccezione e disponeva la prosecuzione del giudizio di opposizione. Il cliente, non convinto, impugnava l'ordinanza di rigetto, ai sensi e per gli effetti dell'art. 42 del Codice di Procedura Civile, con regolamento necessario di competenza avanti la Corte di Cassazione. La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 11389/2018, del 23.11.2017, depositata il 11.05.2018, accoglie il ricorso e dichiara la competenza del Tribunale di Bologna per le ragioni che seguono.
l rapporto tra avvocato e cliente è un rapporto tra professionista e consumatore ed è, di conseguenza, soggetto alla disciplina del Codice del Consumo (D.Lgs. n. 2906/2005). Ai sensi e per gli effetti dell'art. 33, "Si presumono vessatorie (e, quindi, nulle, n.d.r.) fino a prova contraria le clausole che hanno per oggetto, o per effetto, di: … stabilire come sede del foro competente sulle controversie località diversa da quella di residenza o domicilio elettivo del consumatore". Il problema affrontato nel caso concreto sta nel fatto che il consumatore aveva dichiarato una residenza nel contratto di cui si controverte, residenza che successivamente cambiava. La domanda che ci si pone è quale delle due residenze sia da considerare rilevante ai fini del foro competente. La Corte parte da una premessa, che è la regola dettata dall'art. 5 del c.p.c., per il quale "La giurisdizione e la competenza si determinano con riguardo alla legge vigente e allo stato di fatto esistente al momento della proposizione della domanda …".
È possibile opporre un proprio credito in compensazione contro il fallimento che agisce per far valere un credito del fallito
Secondo la sentenza della Corte di Cassazione n. 30298 del 18.12.2017, pubblicata il 05.05.2018, è possibile neutralizzare la richiesta di pagamento proveniente da un fallimento facendo valere un proprio controcredito verso quello stesso fallimento.
Nella specie era successo che il fallimento si fosse sciolto da un contratto preliminare relativo ad un immobile e avesse chiesto ed ottenuto un corrispettivo per l'illegittima occupazione dell'immobile. L'occupante aveva eccepito in compensazione il proprio credito per i miglioramenti apportati all'immobile. La soluzione adottata nel caso di specie trova, comunque, applicazione in ogni situazione in cui ad un credito del fallito venga opposto in compensazione un proprio credito.
Il ricorso al decreto ingiuntivo da parte della società di Telecomunicazione non è subordinato al previo esperimento del tentativo di conciliazione
Nel presente approfondimento ci si chiede se la società di
telecomunicazioni, prima di procedere al
recupero crediti, debba sempre e comunque,
instaurare il tentativo di conciliazione avanti le autorità
preposte.
Il dubbio nasce dal fatto che, di fronte alla previsione del
tentativo come obbligatorio, la norma esclude espressamente dal
suo ambito applicativo le controversie relative al recupero del
credito, in caso di assenza di contestazioni da parte dell'utente.
Né la norma né il Regolamento chiariscono cosa si debba intendere
per contestazione e a chi, in caso di opposizione a decreto
ingiuntivo, spetti l'onere di attivare la procedura volta al
componimento bonario.
E' opinione di chi scrive che l'operatore può procedere al recupero del proprio credito con richiesta di decreto ingiuntivo e senza esperire il tentativo di conciliazione. In caso di opposizione al decreto ingiuntivo promossa dall'utente, il Giudice, solo se le contestazioni precedenti all'instaurazione del procedimento erano state specifiche e dettagliate, potrà sospendere il giudizio, imponendo l'eventuale onere di attivarsi per il tentativo di conciliazione sull'utente. Qualora l'utente, opponente il decreto ingiuntivo, dovesse rimanere inerte di fronte all'invito al Giudice, la conseguenza sarà l'improcedibilità dell'opposizione con conseguente passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo.
Lun. - Ven.: 8.30 - 12.15 / 14:30 - 19:15