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Il tentativo obbligatorio di conciliazione in materia di telecomunicazioni è previsto quale condizione di procedibilità della domanda.

L'occasione della decisione delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza n. 8240/2020) viene fornita da un giudizio introdotto, questa volta, dal consumatore e non dalla società di telecomunicazioni.

Il cliente di Telecom Italia S.p.a. lamentava la nullità della clausola contrattuale che prevedeva una penale per il recesso anticipato. La clausola, in estrema sintesi, sarebbe stata contraria tanto alle norme dettate dal Codice del Consumo quanto a quelle dettate dal c.d. Decreto Bersani bis (D.L. n. 7 del 31.01.2007).

Telecom Italia S.p.a. si costituiva ed eccepiva l'improponibilità della domanda. Il Giudice di Pace di Arienzo accoglieva la domanda del consumatore. Telecom Italia S.p.a. proponeva appello, ribadendo la stessa eccezione, presso il tribunale di Santa Maria Capua Vetere, che accoglieva l'appello e dichiarava improponibile la domanda.

Avverso la sentenza del Giudice di Appello il consumatore proponeva ricorso in Cassazione.

La Terza Sezione della Corte rimetteva la questione alle Sezioni Unite, ritenendo necessario individuare criteri di riferimento univoci essendo la problematica già stata affrontata e risolta con esiti opposti.

La qualificazione del tentativo obbligatorio di conciliazione quale condizione di procedibilità o di proponibilità ha conseguenze importanti sull'esito del giudizio. Nel primo caso (condizione di procedibilità), qualora non effettuato il tentativo, il giudizio si instaura correttamente, ma non può procedere, perché il tentativo è considerato quale atto di impulso necessario per far proseguire il processo. Il Giudice, quindi, deve arrestare momentaneamente il processo e consentire l'espletamento del tentativo, senza esiti infausti definitivi. Nel secondo caso (condizione di proponibilità), qualora non effettuato il tentativo, il giudizio non può nemmeno instaurarsi per la presenza di un vizio (insanabile) originario del ricorso in sede giurisdizionale e il processo deve essere chiuso con sentenza di soccombenza a carico di chi ha introdotto la domanda inammissibile, previa condanna alle spese di causa.

Le Sezioni Unite dichiarano immediatamente di non condividere la ricostruzione del tentativo di conciliazione quale condizione di proponibilità, piuttosto che di condizione di procedibilità.

Il dubbio nasce dalla mancanza di univocità dell'indicazione testuale. Nella legge istitutiva dell'AGCOM (art. 1L. 297 del 1999) si legge: "non può proporsi ricorso in sede giurisdizionale", laddove nel regolamento AGCOM del 2007 si legge: "il ricorso in sede giurisdizionale è improcedibile (art. 3, comma 1, 173/07/Cons.)

La Corte ritiene, in primis, che vi sia una similitudine (per tipologia di interessi e di soggetti coinvolti) con le controversie in materia di distribuzione dell'energia e del gas, dove il preventivo tentativo di conciliazione – per espressa previsione normativa – è previsto in termini di condizione di procedibilità.

In ogni caso, continuano le Sezioni Unite, la ricostruzione in termini di condizioni di procedibilità si fonda su una lettura costituzionalmente orientata della norma, che, altrimenti, rischierebbe il dubbio di costituzionalità per le gravi conseguenze scaturanti dal mancato espletamento del tentativo. La Corte Costituzionale, infatti, vuole che siano interpretate in maniera prudenziale le norma dettate in punto di "giurisdizione condizionata", privilegiando espressamente una ricostruzione in termini di improcedibilità che di improponibilità.

La ricostruzione in termini di condizione di procedibilità consentirebbe, infatti, di coniugare le esigenze deflattive con il principio di effettività della tutela giurisdizionale.

Il Giudice, pertanto, ravvisato il mancato tentativo di conciliazione non potrà chiudere il processo con una pronuncia in rito, ma dovrà sospendere il giudizio per consentire alle parti di dar luogo all'incombente per poi poter proseguire il giudizio.

Del resto, quello appena esposto costituisce un principio pacifico nel nostro ordinamento. Laddove è prevista l'improcedibilità, la conseguenza è sempre la sospensione del procedimento, non certo la sua nullità. Così dispone l'art. 412 bis (improcedibilità in materia di lavoro), l'art. 443 c.p.c. in materia di previdenza e assistenza obbligatorie, l'art. 3 del D.L. n. 132/2014 (improcedibilità in materia sottoposta alla negoziazione assistita), e l'art. 5 D.L. 28/2010 (improcedibilità in materia sottoposta a mediazione obbligatoria).

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