L'art. 3 del Regolamento in materia di procedure per le controversie tra operatori di comunicazioni elettroniche ed utenti prevede l'improcedibilità del ricorso in sede giurisdizionale fino a che non sia stato esperito il tentativo obbligatorio di conciliazione per le sole controversie di cui all'art. 2 comma 1.
Il tentativo di conciliazione, pertanto, non è previsto in via generale per ogni tipo di controversia.
Il precedente art. 2, così dispone: "1. Ai sensi dell'articolo 1, commi 11 e 12, della Legge, sono rimesse alla competenza dell'Autorità le controversie in materia di comunicazioni elettroniche tra utenti finali ed operatori, inerenti al mancato rispetto delle disposizioni relative al servizio universale ed ai diritti degli utenti finali stabilite dalle norme legislative, dalle delibere dell'Autorità, dalle condizioni contrattuali e dalle carte dei servizi. 2. Sono escluse dall'applicazione del presente Regolamento le controversie attinenti esclusivamente al recupero di crediti relativi alle prestazioni effettuate, qualora l'inadempimento non sia dipeso da contestazioni relative alle prestazioni medesime …".
Per meglio comprendere il testo del Regolamento, venivano successivamente approvate, con delibera n. 276/13/Cons. dell'11 aprile 2013, le Linee guida in materia di risoluzione delle controversie tra utenti ed operatori di comunicazioni elettroniche.
Si legga l'art. I.1.2., 4 comma, pagina 5, delle Linee Guida: "Sono invece escluse dall'ambito oggettivo di applicazione del Regolamento le controversie che riguardano esclusivamente il recupero crediti per prestazioni effettuate tipicamente instaurate con decreto ingiuntivo, a meno che non si tratti di crediti già oggetto di contestazione da parte dell'utente".
Ritiene chi scrive che l'uso del termine contestazione equivale a dire contestazione precisa e dettagliata. Infatti, valgono in questo caso i principi tipici del processo civile, dove una contestazione, per essere valida ed efficace, deve essere specifica e consentire a chi la riceve di comprendere appieno i fatti e le ragioni in diritto che la supportano. Diversamente, la contestazione generica sarà inesistente (tamquam non esset). Il rischio, ragionando altrimenti e ritenendo contestazione, a solo titolo di esempio, anche la generica lamentela sull'eccessività degli importi richiesti, sarebbe quello di vanificare la norma del regolamento e quanto previsto dalle linee guida, "con una ricaduta negativa sulla qualità del lavoro svolto da tali organi e sui tempi di risoluzione delle controversie". Correttamente, quindi, la società telefonica, in assenza di una dettagliata e motivata contestazione, agisce in via monitoria senza il preventivo esperimento del tentativo di conciliazione. Ciò può tuttora fare in forza del quadro normativo di riferimento.
La Sentenza della Cassazione n. 25611 del 14.12.2016
Dopo due isolati precedenti giurisprudenziali (Tribunale di Milano, Sezione XI Civile, n. 3383/09, 11 marzo 2009, conforme a Tribunale di Milano n. 4236/09, 30 marzo 2009) e qualche contributo dottrinale, a risolvere ogni dubbio interpretativo è recentemente intervenuta anche la Corte di Cassazione con la sentenza n. 25611 del 14.12.2016, che è stata così massimata:
1. Il ricorso monitorio, nelle materie riservate alle competenze dell'AGCOM, non è soggetto al previo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione poiché, diversamente, la fase sommaria verrebbe privata della sua utilità, risolvendosi in una mera dilazione dei tempi necessari a pervenire alla definizione del giudizio di merito, in contrasto con l'art. 111 Cost.
2. In tema di controversie tra gli organismi di telecomunicazioni e gli utenti, il tentativo obbligatorio di conciliazione, previsto dall'art. 1, comma 11, della l. n. 249 del 1997, non è condizione di procedibilità anche del ricorso per decreto ingiuntivo, attivando quest'ultimo un procedimento "inaudita altera parte", rispetto al quale la sperimentazione della possibilità di comporre bonariamente la vertenza non appare praticabile, proprio per l'assenza del contraddittorio tra le parti.
L'eventuale improcedibilità dell'opposizione dell'utente
Fermo, in ogni caso, il diritto della società telefonica di ricorrere al decreto ingiuntivo, andrà invece valutato se il tentativo di conciliazione costituisca una condizione di procedibilità dell'opposizione dell'utente.
Sempre la succitata sentenza della Cassazione n. 25611/2016 così prevede (terza massima):
3. Non è conforme a diritto la pronuncia che assoggetta il ricorso monitorio, nelle materie riservate alle competenze dell'AGCOM, al previo esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, dovendo di conseguenza ritenersi errata la qualificazione della condizione di accesso al giudizio di merito avanti l'autorità giudiziaria, prevista dall'art. 1, comma 11, l. n. 249 del 1997, come condizione di proponibilità dell'azione giudiziaria dovendo la stessa intendersi piuttosto come condizione di procedibilità. Quindi, il giudice qualora dichiari la temporanea improcedibilità dell'opposizione a decreto ingiuntivo, deve sospendere il processo ed assegnare, ove necessario, alle parti, il termine per l'esperimento dello stesso, restando salvi, al momento della prosecuzione del processo, gli effetti sostanziali e processuali dell'atto introduttivo del giudizio di merito proposto dall'opponente.
Ricordiamo, peraltro, che quello esposto costituisce un principio pacifico nel nostro ordinamento. Laddove è prevista l'improcedibilità, la conseguenza è sempre la sospensione del procedimento, non certo la sua nullità. Così dispone l'art. 412 bis (improcedibilità in materia di lavoro), l'art. 3 del D.L. n. 132/2014 (improcedibilità in materia sottoposta alla negoziazione assistita), e l'art. 5 D.L. 28/2010 (improcedibilità in materia sottoposta a mediazione obbligatoria).
A questo punto, ritiene chi scrive che debbano essere fatte un paio di precisazioni.
La prima è che la sospensione del processo debba essere limitata alle ipotesi in cui il tentativo di conciliazione sia previsto dal Regolamento e dalle Linee Guida come condizione di procedibilità e, cioè, a quei casi in cui il credito (prima del processo) è stato oggetto di contestazione specifica, nel senso precedentemente chiarito. Le contestazioni mosse solo con l'Atto di Citazione saranno, invece, oggetto del procedimento giudiziario, non sussistendo alcuna preclusione in tal senso (art. 2, comma 2, del Regolamento).
La seconda è che l'onere dell'introduzione dell'eventuale tentativo di conciliazione, una volta sospeso il procedimento, debba essere imposto in capo all'utente/opponente il decreto ingiuntivo.
L'onere di attivazione in capo all'utente
In punto di mediazione – applicabile in via analogica al caso della conciliazione nel nostro ambito – e per non dilungarsi oltremisura, si richiama quella che è stata una precisa ed esplicita pronuncia della Corte di Cassazione in relazione alla parte che deve attivarsi in caso di sospensione (Cass. n. 24629/2015): "Nel procedimento per decreto ingiuntivo cui segue l'opposizione, la parte su cui grava l'onere di introdurre il percorso obbligatorio di mediazione, ai sensi del d.lg. n. 28 del 2010, è la parte opponente: infatti, è proprio l'opponente che ha il potere e l'interesse a introdurre il giudizio di merito, cioè la soluzione più dispendiosa, osteggiata dal legislatore. È dunque sull'opponente che deve gravare l'onere della mediazione obbligatoria perché è l'opponente che intendere precludere la via breve per percorrere la via lunga. La diversa soluzione sarebbe palesemente irrazionale perché premierebbe la passività dell'opponente e accrescerebbe gli oneri della parte creditrice. Del resto, non si vede a quale logica di efficienza risponda una interpretazione che accolli al creditore del decreto ingiuntivo l'onere di effettuare il tentativo di mediazione quando ancora non si sa se ci sarà l'opposizione allo stesso decreto ingiuntivo." Visto e considerato che l'unico soggetto processuale avente l'interesse in concreto a percorrere il giudizio di opposizione è l'utente/debitore, a quest'ultimo spetterà l'onere di promuovere il tentativo di conciliazione. Non sfugge a chi scrive che alcune decisioni di merito di primo grado siano recentemente andate in direzione diametralmente opposta a quanto sin qui sostenuto (tra tutte: Tribunale Firenze, ord, 478/2016). La soluzione opposta a quella proposta dalla Corte di Cassazione non convince, né in termini pratici (vista la ricaduta di lavoro superfluo sulle autorità che dovrebbero gestire il tentativo di conciliazione) né in termini processuali. Riferire l'improcedibilità della domanda (conseguenza del mancato tentativo di conciliazione) al decreto ingiuntivo anziché all'opposizione dell'utente appare eccessivamente forzato. Come è già stato fatto notare (Tribunale di Bologna, ord. 19.07.2017), argomentando nel senso delle decisioni qui contestate si andrebbe a ipotizzare una "improcedibilità postuma" per un provvedimento che si è già formato. Al di là della distribuzione dell'onere della prova, nel processo di opposizione la domanda viene introdotta dall'opponente e non può essere riferita al titolo oramai già formatosi in precedenza. Il decreto potrà essere revocato, ma non dichiarato improcedibile, avendo altro giudice già valutato e accolto il ricorso del creditore.
Volendo concludere, possiamo affermare che, anche in presenza di contestazioni, l'operatore di comunicazioni elettroniche potrà procedere al recupero del proprio credito con richiesta di decreto ingiuntivo e senza esperire il tentativo di conciliazione. In caso di opposizione al decreto ingiuntivo promossa dall'utente, il Giudice, solo se le contestazioni precedenti all'instaurazione del procedimento erano state specifiche e dettagliate, potrà sospendere il giudizio, imponendo l'eventuale onere di attivarsi per il tentativo di conciliazione sull'utente. Qualora l'utente, opponente il decreto ingiuntivo, dovesse rimanere inerte di fronte all'invito al Giudice la conseguenza sarà l'improcedibilità dell'opposizione con conseguente passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo, che diventerà incontrovertibile.
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